La scienza che migra

Gli scienziati sono animali migratori, d’altronde questa è proprio la natura del loro lavoro: passare la vita ai confini della conoscenza umana. Per molte persone completare un percorso di Dottorato, fare ricerca e avere la fortuna di trovare un impiego a tempo indeterminato risulta un percorso difficile e ricco di ostacoli. Riuscire a fare tutto ciò in un solo Paese è un’impresa praticamente impossibile, ed è proprio per questo motivo che gli scienziati hanno iniziato a migrare per tutto il mondo.
Esempio è la storia di Rimantas Kodzius, lo scienziato più errante presente nella faccia della terra. Rimantas ha lasciato la Lituania, il suo Paese nativo, nel 1995 per frequentare la scuola di specializzazione in Austria.
L’anno scorso il rinomato studioso non si è fatto sfuggire la grande opportunità di guidare un nuovo laboratorio, cospicuamente finanziato, presso l’Università di Shanghai in Cina.
Attualmente all’età di quarantadue anni Kodzius ha già vissuto in dieci nazioni differenti e si è costruito una notevole carriera fatta di prestigiose posizioni di ricerca in Germania, Giappone, Svezia e Sud Arabia dove è riuscito ad aprire un’azienda biotecnologica e gli è stata assegnata una cattedra all’Università King Abdullah a Thuwal.
Studiare i flussi migratori e il vagare di nomadi come Kodzius risulta fondamentale per comprendere come la comunità scientifica globale stia evolvendo. A primo impatto, questo tipo di ricerca svolta instancabilmente da sociologi appassionati potrebbe sembrare una cosa semplice. I movimenti degli scienziati sembrerebbero essere documentati dalla pubblicazioni cadenzate a ogni tappa fondamentale delle loro ricerche. Ma in realtà la vita dei ricercatori va al di là di questo contesto, è una strada fatta di un instancabile groviglio di percorsi da un capo all’altro del pianeta. Sondaggi e studi forniscono alcune informazioni interessanti a riguardo, ma nessun database è in grado di tracciare le migrazioni dei ricercatori nel mondo in maniera esaustiva.
Per rilevare storie come quelle dello scienziato di origini lituane e di altri suoi colleghi giramondo, la rivista Science ha provato ad analizzare i risultati di una nuova fonte: ORCID, un software digitale per l’identificazione univoca degli scienziati e di altri autori della letteratura scientifica, creato da un’organizzazione no-profit.
ORCID non è stato ideato con lo scopo di tracciare i flussi migratori ma il suo database, diventato uno dei più imponenti per la raccolta di curriculum accademici, con oltre tre milioni di scienziati iscritti, potrebbe diventare uno strumento fondamentale per monitorare gli spostamenti di ricercatori e scienziati a livello globale.
Lo scopo originale di ORCID era semplicemente quello di aiutare gli scienziati con nomi comuni a ottenere credito per tutte le loro pubblicazioni dando loro codici identità unici. ORCID fornisce infatti un identificativo digitale persistente che permette di disambiguare l’identità di ogni singolo ricercatore grazie all’integrazione del sistema nei principali flussi di lavoro e attività di ricerca, quali l’invio degli articoli alle riviste o la richiesta di finanziamenti, attivando collegamenti automatici tra il profilo del ricercatore e le sue attività professionali.
L’organizzazione gestisce un sito web attraverso il quale gli utenti possono aggiungere informazioni al proprio profilo, compresi i dettagli su formazione ed esperienze lavorative. Dal lancio nel 2012, il numero di profili ORCID è cresciuto esplosivamente e fino ad ora 741.867 dei 3 milioni di utenti ORCID hanno scelto di utilizzare il loro profilo online come un Curriculum pubblico, aggiornando periodicamente la loro pagina con informazioni inerenti la propria carriera lavorativa.
Al momento questo identificatore digitale potrebbe essere un campione incompleto e parziale dato che non tutti i ricercatori e gli studiosi hanno ancora un proprio profilo. In altre circostanze il database rappresenta in maniera distorta alcuni dati, come nel caso della sovrarappresentazione di alcuni Stati europei dove la registrazione a Orcid è più comune, ad esempio la Spagna e il Portogallo dove gli istituti di ricerca richiedono ai propri ricercatori l’utilizzo del sistema e la sottorappresentazione di paesi come la Cina dove il sofware non è diffuso.
Inoltre gli utenti più motivati ad utilizzare il sistema sono ricercatori accademici che pubblicano costantemente le proprie ricerche rispetto agli scienziati che lavorano in altri settori.
Nonostante ORCID non possa essere preso come indicatore definitivo della migrazione scientifica, rivela sicuramente alcuni dati sorprendenti ed è in grado di  mettere in luce singole storie, come quella di Kodzius, che altrimenti sarebbero andate perse.
Molti Paesi condividono dati sui loro scienziati, che vengono poi raccolti ed elaborati dalle Nazioni Unite in rapporti semestrali sulla scienza globale. Secondo questi dati a partire dal 2015, il numero degli scienziati erranti è arrivato a 8 milioni dei quali uno su cinque si trova in un paese dell’Unione Europea mentre il 17% e il 19% sono rispettivamente negli Stati Uniti e in Cina.
Ma quanti di questi scienziati sono realmente autoctoni e quanti invece sono immigrati? Negli Stati Uniti, più di un terzo dei titoli di dottorato in scienze e ingegneria vengono assegnati a stranieri con visti temporanei, secondo un rapporto della National Science Foundation del 2016. Ma dopo il dottorato si perdono le tracce.
Non in tutti i Paesi vige la stessa politica riguardanti i visti. In questo modo avere un’immagine globale delle migrazioni potrebbe sembrare un obiettivo ancora più sfuggente. Costruirla richiede informazioni multilaterali e costanti riguardo tutti gli scienziati, in tutto il mondo, a cadenza annuale. Ed è esattamente quello che uno strumento come l’ORCID potrebbe offrire.
Tracciare le nazioni di residenza degli iscritti ORCID nel tempo consente di tracciare di pari passo il flusso di migrazione di ciascuna persona.
Nonostante appena il 10% degli scienziati del mondo siano geograficamente localizzati in ORCID, emergono comunque modelli interessanti che nessun altro strumento è stato in grado di tracciare finora.
I dati mostrano, ad esempio, come circa il 30% degli scienziati che hanno ottenuto il loro Ph.D. nel Regno Unito ora vivono altrove, mentre lo stesso vale per solo il 15% degli scienziati che hanno conseguito il dottorato in altri paesi dell’UE.
Inoltre analizzando i dati ORCID è stato possibile monitorare gli effetti negativi degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. È stato infatti possibile rilevare un crollo della migrazione di scienziati stranieri negli Stati Uniti. Nel complesso, i dati dell’identificatore mostrano come il numero di ricercatori stranieri che studiano o che lavorano negli Stati Uniti sia cresciuto senza problemi dal 1990. Ma c’è un’eccezione evidente: il numero di ricercatori stranieri che sono entrarti negli Stati Uniti è calato nel 2001.

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Nonostante ORCID non possa attualmente illustrare il flusso della migrazione scientifica al 100%, rappresenta comunque un grande passo avanti nello studio dell’interconnessione tra scienza e migrazione, offrendo una prospettiva unica della vita migratoria dei produttori di conoscenza planetari.
I dati ORCID vanno di pari passo con le rappresentazioni dei flussi migratori pubblicati nei rapporti delle Nazioni Unite, ciò fa sottintendere che nel momento in cui lo strumento si svilupperà e si diffonderà a un campione di scienziati più esteso, i decisori politici e i governi potrebbero verosimilmente utilizzare questo sistema per monitorare l’impatto dei loro interventi e per attirare i talenti della ricerca nei propri Paesi.

 

http://www.rivistamicron.it/temi/linstancabile-migrazione-della-scienza/